Auguri alla Fiat non per affetto ma per interesse
Di Carlo Pelanda (21-4-2009)
Questa settimana sarà decisiva per l’acquisizione della Chrysler da parte della Fiat. La questione va ben oltre le cronache economiche di settore perché riguarda la sopravvivenza o meno della stessa industria automobilistica in Italia e del suo enorme indotto, piccole imprese, concentrato nel nord. Spiego.
Chrysle non
riesce ad andare avanti. Fiat le ha offerto la tecnologia delle piccole
automobili efficienti in cambio di azioni, fino alla maggioranza. A patto,
però, che il governo statunitense immetta liquidità, che le banche creditrici
accettino una ristrutturazione del debito Chrysler e che i sindacati –
statunitensi e canadesi – accettino di
trasformare in azioni il loro credito previdenziale nei confronti dell’azienda
oltre alla riduzione del costo del lavoro. I sindacati sembrano d’accordo.
Resta lo scoglio delle banche creditrici che guadagnerebbero, in apparenza, di
più se Chrysler fallisse e suoi beni fossero messi all’asta. L’Amministrazione
Obama sta sostenendo l’azione della Fiat e sarà l’attore principale per la
trattativa con le banche. Le sensazioni sono buone, aspettiamo gli eventi. Qui
concentriamoci, invece, sulla rilevanza geoeconomica del caso. Il settore mondiale
dell’auto è colpito strutturalmente dalla sovracapacità produttiva, peggiorata
dalla crisi. Proprio Marchionne, leader operativo della Fiat, sintetizzò
qualche tempo fa lo scenario del settore: resteranno pochi gruppi al mondo
perché per sopravvivere un’azienda deve avere una capacità di produzione e
vendita di almeno 5,5 milioni di autovetture. I grandi numeri, infatti,
bilanciano il poco profitto per unità venduta e gli alti costi di produzione.
In tale scenario si salverà solo chi acquisisce e si globalizza. Chrysler è
l’acquisizione perfetta per